January 2008 (112.1)

Book Review

Visual Culture and Archaeology: Art and Social Life In Prehistoric Southeast Italy

By Robin Skeates

Reviewed by Renata Grifoni Cremonesi

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Skeates presenta una sintesi sulla preistoria dell’Italia sud orientale abbastanza ben condotta e particolarmente utile agli studiosi inglesi, spesso ancora legati a opere di carattere molto generale ormai datate e non aggiornate. Il volume è in primo luogo un tentativo di applicare allo studio delle culture preistoriche italiane il dibattito teorico che in Italia, secondo Skeates, è poco applicato mentre viene dato più spazio alla pura analisi del dato archeologico. Forse per questo motivo la bibliografia citata, anche per dati specifici di scavi, è basata in massima parte sulle interpretazioni di autori di lingua inglese. Va rilevato tuttavia che da qualche tempo anche in Italia vi è una più diffusa attenzione per i problemi di metodologia riguardo ai problemi relativi al mondo ideologico e ai rapporti tra ideologia e società: purtroppo non sempre i dati disponibili sono tali da permettere l’elaborazione di teorie complesse, basate spesso su modelli derivanti dall’etnografia e dall’antropologia culturale, né ci permettono sempre di adattare tali modelli a temi di vasta portata quali appunto l’ideologia religiosa, i rituali, l’arte, i simbolismi, le strutture sociali e di collegare in modo certo tutti questi aspetti tra di loro. Vi è anche un certo timore di cadere nelle facili illusioni del confronto etnografico, in uso nel XIX e XX secolo, poi abbandonato per eccesso di confronti presi un po’ ovunque nel mondo e facilmente adattabili alle varie situazioni della preistoria (ricordo ad esempio i lavori di Maringer e le critiche al metodo fatte da A. Leroi-Gourhan). Il dibattito sulle interpretazioni del mondo religioso e dell’arte che era stato infatti molto acceso e aveva visto varie posizioni a seconda delle diverse scuole oggi è comunque tornato in auge con diversi tipi di approccio teorico.

Per quanto riguarda la preistoria italiana il discorso si fa ancora più complesso data l’estrema variabilità degli aspetti culturali lungo la Penisola, dovuta anche alla situazione geografica e ai diversi apporti e contatti recepiti dal Nord, dal Centro e dal Sud e dalle aree orientali ed occidentali.

Lo Skeates si propone pertanto di affrontare una difficile realtà quale la preistoria dell’Italia sud orientale, cercando un approccio contestuale all’analisi degli oggetti esaminati e cercando, nel contempo, di identificare i molteplici aspetti riposti nei simboli, comprendendo in questi non solo gli oggetti “portables,” ma anche i monumenti, i sepolcri, le grotte, attraverso un lunghissimo arco cronologico, dal Paleolitico superiore all’età del Bronzo.

Il volume si articola in dieci capitoli: nel primo vengono esposti i principi metodologici relativi allo studio della visual culture, la sua definizione e la distinzione tra approccio cognitivo-processuale e approccio interpretativo; viene data anche una breve storia delle teorie che mostrano gli oggetti costituiti come significanti, organizzati cioè in concetti socialmente incanalati, che danno loro significato e permettono di svolgere un ruolo attivo nei valori sociali. Dopo alcune considerazioni sulle difficoltà interpretative, sull’uso di questi oggetti e sul loro significato, si passa ai problemi di terminologia, considerando arte anche quegli oggetti comunque intesi come visualmente espressivi e stimolanti, quali conchiglie, corpi umani decorati, oggetti incisi, figurine e ornamenti, monumenti funebri.

Nel capitolo 2 si tratta della body art e degli ornamenti, e viene avanzata l’ipotesi che le conchiglie, i denti forati, i ciottoli incisi e gli ossidi di ferro, attribuiti alle prime genti del Paleolitico superiore (Uluzziano), fossero utilizzati da queste per distinguersi dagli ultimi neandertaliani.

Nel capitolo 3 viene discusso il concetto di performance art, difficile in effetti da definire, se forma di teatro rituale, divertimento, religione, danza, che Skeates identifica con l’abbondanza di parures nel Gravettiano e con lo sviluppo dei rituali funerari e dell’arte mobiliare.

Il capitolo 4 è dedicato all’arte figurativa nell’epigravettiano e vengono descritte le grotte più importanti per i complessi di arte mobiliare con forte presenza di oggetti decorati con motivi geometrici e vengono esposte alcune teorie interpretative, quali quelle di Marshack: va rilevato che, almeno per Grotta delle Veneri, con oltre 400 pietre incise, si sarebbe potuto ampliare il discorso sulle variazioni del tema iconografico (dai reticoli agli antropomorfi) ben discusso da Possenti e d’Errico (L’art mobilier épipaléolithique de la Méditerranée occidentale, 93–116 [Carcassonne 1994]).

Nel capitolo 5 si ha una descrizione abbastanza completa dei ciottoli incisi della fase finale del Paleolitico superiore e, tramite un discorso sul problema del simbolismo astratto, si tenta una interessante interpretazione in chiave sociale, rituale o utilitaristica delle numerose manifestazioni artistiche di questo periodo, nonostante siano evidenti, come lo stesso Skeates ammette, le manchevolezze dei dati archeologici.

Col capitolo 6 si passa alla prima fase del Neolitico e per questo momento storico cruciale, la neolitizzazione, l’arte viene intesa come mezzo per marcare o dividere legami sociali e segnalare o decifrare differenze e/o identità culturali, tensioni sociali, riti. Stupisce però che per il problema della continuità e coesistenza tra gruppi di ultimi cacciatori–raccoglitori e nuovi gruppi di agricoltori siano appena sfiorati il tema della scarsa o nulla presenza del Mesolitico recente in Italia meridionale e l’ampio dibattito sul processo di neolitizzazione nell’Italia meridionale. Purtroppo questo capitolo risulta un po’ confuso e il tentativo di organizzare un discorso sul significato sociale dell’arte e su quello della funzione rituale dei fossati non affronta il problema fondamentale relativo appunto all’arrivo dei nuovi gruppi e al substrato locale: per quanto riguarda l’arte si parla solo molto genericamente di alcuni decori impressi.

Nel capitolo 7 si propone una suddivisione del neolitico medio meridionale in gruppi che non sono molto chiari nei loro raggruppamenti: forse sarebbe stato utile confrontare tale suddivisione con quelle proposte nell’Atlas de Préhistoire (Atlas du néolithique Européen. Vol. 2A, a cura di J. Guilaine [Lièges 1998]). Per quanto concerne in specifico l’arte vengono citati conchiglie, decori su vasi, pintaderas, statuine, sepolture: per la ceramica il discorso dei possibili significati simbolici di alcuni motivi ricorrenti poteva forse essere meglio approfondito. Per le sepolture si lamenta la scarsità di pubblicazioni, che però esistono (vedi, ad esempio, Bagolini e Grifoni, “Il Neolitico italiano,” Bollettino di Paletnologia Italiana 85 [1994] 139–70; e G. Cremonesi, “Sull’interpretazione di alcuni aspetti funerari e cultuali nel neolitico abruzzese,” in Studi sul Paleolitico, Mesolitico e Neolitico del bacino adriatico in ricordo di A.M. Radmilli, a cura di P. Biagi, 127–39 [Venezia 2000], con bibliografia relativa. Segnalo anche la recente uscita di un catalogo completo delle sepolture neolitiche ed eneolitiche italiane: La cultura del morire nelle società preistoriche e protostoriche italiane, a cura di F. Martini [Firenze 2007]) e questi vengono esposte interessanti considerazioni sui gruppi familiari e le distinzioni sociali e regionali, ma in maniera talvolta generale e non sempre rapportata in modo specifico ai singoli casi o comunque agli ambiti culturali presi in esame.

Viene infine ripreso il discorso, affrontato da numerosi autori fin dal XIX secolo, dell’importanza del corpo femminile come oggetto di culto nel Neolitico.

Per il Neolitico finale, nel capitolo 8, si accenna al quadro, già proposto in altre sedi degli anziani che mantenevano il potere tramite un sistema di scambi e di beni prestigio: credo che questo modello, peraltro interessante, andrebbe meglio verificato con un più stretto confronto tra dati antropologici e oggetti nelle sepolture, poichè non sempre c’è corrispondenza tra età e beni di prestigio, che a volte si trovano anche in tombe di giovani, e tipologia delle strutture funebri (G. Cremonesi 2000).

Per quanto concerne infine l’età dei metalli non ci sono proposte interpretative nuove che vadano oltre quanto già scritto da molti autori sul cambio culturale e ideologico avvenuto nel III millennio a.C. La presenza di armi, collane, mantelli, statue stele, è un fenomeno molto ampio nel quadro mediterraneo e il mutamento del rituale funerario assieme all’avvento dell’arte rupestre con simboli diversi da quelli neolitici è stato ampiamente analizzato, anche confrontando questi mutamenti ideologici con il mondo socioeconomico quotidiano che mantiene sostanzialmente, con notevoli miglioramenti tecnologici quali l’introduzione dell’aratro e la metallurgia, il sistema di vita neolitico di comunità di villaggio.

Per l’età del Bronzo, come ha già notato M. Cultraro, il discorso sullo sviluppo sociale e culturale nell’età del Bronzo andava sviluppato tenendo maggior conto degli influssi micenei nel Mediterraneo occidentale.

In conclusione, però, al di là delle osservazioni di dettaglio, va rilevata senz’altro lato l’utilità di questo lavoro che cerca, pur nei limiti posti dall’ampio arco cronologico preso in esame, di dare un quadro dello sviluppo delle manifestazioni artistiche nella preistoria di una regione e di collegarle ai mutamenti socio economici e ideologici dei diversi gruppi di popolazioni. Il tentativo di interpretare questi fenomeni appare a volte molto puntuale e critico, mentre in altri casi, soprattutto per quanto riguarda il Neolitico e l’età del Bronzo, si ferma a modelli generali e non vaglia puntualmente le fonti di riferimento: spesso ci sono descrizioni molto dettagliate cui non segue un’adeguata analisi per l’interpretazione. Vi sono però molti spunti utili di riflessione di cui gli studiosi devono sicuramente tener conto per confrontarsi tra diverse scuole di pensiero.

Certamente si tratta di un’impresa ardua e in definitiva lo Skeates si è mosso abbastanza bene nelle complicazioni della preistoria italiana e credo che questo lavoro possa servire di stimolo per affrontare al meglio problematiche complesse e difficili quali quelle relative al mondo ideologico della preistoria.

Renata Grifoni Cremonesi
Dipartimento di Scienze Archeologiche
Università di Pisa
Via Galvani 1
56126 Pisa
Italy
grifoni@arch.unipi.it